Learco Antenore Giuseppe Guerra (San Nicolò Po, 14 ottobre 1902 – Milano, 7 febbraio 1963) è stato un ciclista su strada, pistard e dirigente sportivo italiano.
Professionista dal 1928 al 1945, fu soprannominato la Locomotiva umana da Emilio Colombo,[1] (direttore della Gazzetta dello Sport tra gli anni 20 e i 30). Formidabile passista e forte anche nelle volate in virtù del fisico possente, benché poco propenso alle salite,[2] fu rivale di Alfredo Binda,[1] grande campione dell'epoca e suo coetaneo. Vinse il Giro d'Italia nel 1934 e fu campione del mondo nel 1931; vinse la Milano-Sanremo nel 1933 e il Giro di Lombardia nel 1934. Si aggiudicò in totale 83 corse.[2]
Indice
1Carriera
2Nella cultura di massa
3Palmarès
3.1Strada
3.1.1Altri successi
3.2Pista
4Piazzamenti
4.1Grandi Giri
4.2Classiche monumento
4.3Competizioni mondiali
5Riconoscimenti
6Note
7Bibliografia
8Altri progetti
9Collegamenti esterni
Carriera
Fino a 25 anni lavorò come muratore assieme al padre, capomastro in un'impresa edile del Mantovano. A credere nelle sue doti atletiche fu l'amico Gino Ghirardini che gli fece credere di aver ottenuto per lui una bicicletta e la maglia ufficiale dalla Maino. Con quella prima bicicletta da corsa venne accettato nella squadra sportiva della 23ª Legione Mincio della MVSN, con la possibilità di partecipare alla Milano-Sanremo. In quella gara tutti i componenti della squadra Maino si ritirarono, mentre Guerra giunse diciassettesimo. Giovanni Maino volle sapere chi fosse il ciclista che correva con i suoi colori senza essere della squadra e così si venne a sapere che non vi era stata alcuna donazione e che bici e maglia erano state acquistate e pagate dall'amico Ghirardini. Il significato di quella prestazione, ottenuta con una vecchia bici e per di più da pista e non da strada, non sfuggì agli occhi esperti del patron Maino e del suo consigliere Costante Girardengo. Guerra fu così preso in squadra per contrastare Binda; nonostante fosse divenuto professionista solo a 27 anni, riuscì a togliersi diverse soddisfazioni.
Fu il primo in assoluto a vestire la maglia rosa: istituita nel 1931 quale simbolo del primato in classifica e del giornale La Gazzetta dello Sport, organizzatore della corsa, venne indossata dal campione mantovano, vincitore della tappa inaugurale del diciannovesimo Giro d'Italia, la Milano-Mantova. Complessivamente al Giro d'Italia si impose 31 volte, preceduto nel computo delle vittorie di tappa solamente da Cipollini e da Binda. Conquistò in pista il suo primo titolo italiano a Carpi nella corsa a punti (1929), come pure il suo ultimo campionato italiano nel 1942, al Velodromo Vigorelli di Milano, nella corsa dietro motori, a 40 anni. Il suo palmarès comprende 86 vittorie totali (compresa una Sei giorni su pista) e fino agli anni settanta il suo record di vittorie in una stagione agonistica rimase imbattuto.
Appesa la bicicletta al chiodo, dopo essere stato il primo commissario tecnico della nazionale del dopoguerra, intraprese la strada del direttore sportivo con ottimi risultati. Dall'ammiraglia della Faema e della Emi guidò molti campioni degli anni 50 come: Rik Van Looy, Federico Bahamontes e, soprattutto, Hugo Koblet, Carlo Clerici e Charly Gaul, con i quali vinse quattro Giri d'Italia. I suoi ultimi corridori furono Vittorio Adorni e Gianni Motta, quest'ultimo già opzionato per il passaggio al professionismo ma che non fece in tempo a dirigere. Morì prematuramente in seguito ai postumi di due operazioni affrontate per tentare di sconfiggere il morbo di Parkinson.
Nella cultura di massa
Guerra fu un ciclista popolarissimo; nonostante fosse di origini settentrionali, era molto amato anche nel meridione. Di ritorno dal Tour de France 1930 ricevette un assegno, frutto di una sottoscrizione popolare dei suoi compaesani, con il quale poté comprarsi casa.[2]
Fu anche preso a simbolo dell'Italia fascista, incarnava il mito del periodo dell'italiano forte e tenace; durante il ventennio dovette donare diverse sue medaglie alla Patria per finanziare, con la raccolta dei metalli preziosi, la Guerra d'Etiopia[2]. Altri trofei furono poi anche trafugati dall'abitazione divenuta sede di un comando tedesco durante l'occupazione..
Nel 1994 a Mantova fu aperto, grazie al cugino Otello Giovanni Pozzi, un museo storico dedicato a Learco Guerra, curato e custodito dai volontari dell'Associazione Nazionale Atleti Azzurri d'Italia sez. di Mantova che ospitava i cimeli rimasti, tra cui la prima maglia rosa assoluta e la maglia di campione del mondo entrambe del 1931;[2][1] la sede era, in Piazza Broletto, in alcune sale del Palazzo del Podestà, ed era la stessa del museo dedicato a un altro celebre sportivo mantovano ed amico di Learco Guerra: il pilota Tazio Nuvolari.
^abc Vincenzo Dalai, un museo per Learco Guerra, in Corriere della Sera, 15 febbraio 1994. URL consultato il 31 gennaio 2011 (archiviato dall'url originale il 19 ottobre 2014).
^abcdefgh Angelo De Lorenzi, Il collezionismo nel mondo della bicicletta, Editore Ediciclo, 1999, pp. 128-130, ISBN 978-88-85318-33-5.
^Inaugurata la Walk of Fame: 100 targhe per celebrare le leggende dello sport italiano, su coni.it. URL consultato il 20 dicembre 2017.
^100 leggende Coni (PDF), su coni.it. URL consultato il 20 dicembre 2017.
Bibliografia
Renzo Dall'Ara, Locomotiva umana: Learco Guerra: l'avventura di un campione nella leggenda del ciclismo, Tre Lune Edizioni, 2002, ISBN 88-87355-52-5.
Claudio Gregori e Marco Pastonesi, Il grande Guerra, Piverone (TO), Mulatero Editore, 2022, ISBN 978-88-8986-982-6, SBN IT\ICCU\PCM\0032829.
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